Andy Stott - Luxury Problems (2012)
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Andy Stott - Luxury Problems (2012)
Veramente interessante
http://www.storiadellamusica.it/elettronica_grooves_dance/dub_tech/andy_stott-luxury_problems(modern_love-2012).html
http://www.ondarock.it/recensioni/2012_andystott_luxuryproblems.htm
http://www.sentireascoltare.com/recensione/10856/andy-stott-luxury-problems.html
http://www.storiadellamusica.it/elettronica_grooves_dance/dub_tech/andy_stott-luxury_problems(modern_love-2012).html
Andy Stott
Luxury Problems
di Francesco Targhetta
Alza lo sguardo verso il cielo, Andy Stott, ma resta sempre verticalmente scavato nel magma il suo suono. Dopo l’eccellente accoppiata di Ep dello scorso anno (“Passed Me By” e “We Stay Together”), questo “Luxury Problems” sancisce l’originalità della sintesi su base dub-techno del producer inglese, raffinandone persino l’accessibilità. Perché Stott, dopo anni di diffidenza e di prove centellinate, si è aperto in modo deciso all’uso della voce, qua sempre affidata alla sua ex insegnante di piano Alison Skidmore. Come per un illusionismo, i vocals creano, infilandosi nelle textures sempre molto infossate di Stott, una specie di altra dimensione, diventando il perno impalpabile di interi pezzi, quasi (per quanto sembri assurdo) ‘cantautorali’. È questo il passaggio geniale dell’ultimo Stott: diventare più luminoso in superficie, mantenendo intatto il proprio nascosto risucchio nero, di città e zone industriali fatte cimiteri.
Perché la sua Manchester conta, eccome. Basta ascoltare i primi due minuti della catatonica “Expecting”, prima che entrino sottopelle tastiere che leggermente sollevano la visuale e alzano dai docks nebbiosi e dalle fabbriche mancuniane, con la techno che si fa quasi industrial, raccogliendo brandelli dell'hauntologia recente.
Dove il disco splende, in realtà, è nei momenti in cui la verticalità viene sfruttata in tutta la sua scala: “Numb” acceca nelle sovrapposizioni dei loop vocali di una Skidmore da vero eden, fino all’ingresso disturbante dei beat e del groviglio di bassi che crea un tappeto sinistro, come se la tuffatrice dall’alto stesse per immergersi in un vortice impeciato e ctonio. È in questa sospensione, potenzialmente paradisiaca e assieme mortale, che si costruisce la magia di "Luxury Problems". In questo connubio di elementi che sembrano non esistere nemmeno, tanto smembrati sono i vocalizzi e tanto abissali sono i bassi (avvicinate bene le cuffie alle orecchie!). La tensione si ricrea in “Lost And Found” (apice): la Skidmore, che è anche cantante di opera, qua si arrampica in una linea quasi spiritualizzata sopra un magma di groove da rave insozzato, tutto ipercompresso. Mentre salgono incubi Demdike Stare (ma anche, dai '90s, certi Future Sound of London), i beat spariscono e poi tornano, come mostri negli horror. Brano da classico-subito.
La verità è che la tradizione viene riplasmata da Stott con un mash-up di grandissima originalità, passando dalla techno solo un poco rallentata e tinta di ambient (“Sleepless”) a paesaggi e scorci da post punk sperimentale: “Hatch the Plan” attacca noise con bleeps che feriscono come sangue che ti sgocciola dentro (già in “Execution”). Poi un lungo sample in loop, con un riverbero che diventa viluppo, mentre l’equalizzazione sempre molto rough e improvvisi inabissamenti sotto-urbani (ecco Burial) inquinano la potenzialità paradisiaca del pezzo, che infatti alla fine degli 8 minuti abbondanti si disfà in un nuovo gorgo noise, sembra farsi travolgere da una bufera metropolitana e apocalittica, fino a essere tagliata da una turbina che gira a vuoto cigolando (presente il finale del video di “Karmacoma”?). Dark è dire poco. Knackered, infatti, si dice di Stott: esausto e distrutto.
Problemi di lusso, d'altronde, sono le micro-rotture con cui Stott sabota i suoi stessi brani. Come l’equalizzazione ondivaga e gli stacchi sonori sballati della title-track, a volte volutamente fuori sincrono (Voices of Black?), in mezzo a un mare di bassi avvolgenti. Come la prima metà di “Up The Box”, paranoide corsa verso il nulla, nevrastenica fuga sfregiata dai bassi buttati sullo sfondo come un’ombra inesorabile, che poi sfocia, con uno stacco drum'n'bass, in una ritmica jungle in incessante distorsione. “Leaving”, in chiusura, è un inno purificatore, con la voce spinta da propulsioni di synth eighties, finché i cimbali accelerano all’impazzata e la voce, lasciata libera dal loop, sembra intonare una preghiera.
Che è la speranza, mentre si è in aria, di non finire schiantati. Pur sapendo che...
Tra i dischi dell’anno.
http://www.ondarock.it/recensioni/2012_andystott_luxuryproblems.htm
di Giuliano Delli Paoli
Superato l’obiettivo di scendere comodamente sotto i 100 bpm con la doppia scarica “Passed My By”/ “We Stay Together”, Andy Stott punta ancora più in alto. L’intento di mordere la preda attraverso quel groove possente e straniante, defilandosi come un ninja qualunque dal panorama techno internazionale, è in gran parte accantonato.
Per il produttore di Oldham è giunta l’ora di aggiungere qualcosa in più a una “semplice” incastonatura di bassi e battute a rilento in scia dub-minimal. E’ arrivato il momento di azzardare ben altro e provare finalmente ad ampliare lo sguardo, la propria musica. Del resto, lui è l’uomo che giace in cabina di regia quando le cose si complicano e il cilindro altrui pare aver smarrito il proprio coniglio.
Nasce dunque la necessità di inserire elementi terzi che possano trascinare l’elettronica pachidermica fin qui palesata verso territori per certi versi inesplorati, inaspettatamente aulici. Così, spunta d’un tratto l’elemento vocale a dar man forte a sonorità già di per sé conturbanti. Liriche femminee da musa smarrita che fungono da inserto graziante, conferendo a più riprese un’inaspettata solennità.
La seconda prova sulla lunga distanza del buon Andy assume quindi il sapore della svolta. Una sterzata che lascia esterrefatti e al contempo storditi. La profondità delle modulazioni rimane intatta e sullo sfondo è ancora possibile cogliere le impercettibili micro-vibrazioni metallurgiche del recente passato. Tuttavia, è il registro celeste esposto in diverse tracce a entrare a gamba tesa. L’oscurità dei suoni abbraccia la sacralità delle voci in una trascinante e ostentata ipnosi.
In sostanza, “Luxury Problems” fonde le due anime del produttore inglese. Trasuda calore umano e metallo fuso. Stott scende in profondità con la consueta lentezza, accompagnato ora dal richiamo pressoché costante di una sirena (“Lost And Found”). Regna sovrana un'impetuosa tetraggine posta da sfondo a massicce deflagrazioni combinate ritmicamente alla stregua di un vecchio treno merci in partenza (“Sleepless”, “Expecting”).
Allo stesso tempo, il buon Andy sa ancora far muovere i fianchi. E la title track non è nient’altro che un meraviglioso palleggio in cassa (più o meno) dritta, smorzato qua e là da impercettibili stacchetti.
Di tutt’altra pasta, invece, è l’ambigua e “isolata” “Up The Box”, nella quale prende quota un’accelerazione ritmica ansiolitica che si assesta di scatto al terzo minuto, lasciando pieno campo a giochini in perfetto e cazzuto broken-beat (!). Nel finale, l’eterea “Leaving” solleva definitivamente dal suolo l’anima musicale di Andy, mostrandoci l’avvenuta sospensione sonora. Ali spiegate morbidamente, un’angelica tastiera e il canto soave di una fanciulla a cullar la mente e il cuore.
Giù il cappello.
http://www.sentireascoltare.com/recensione/10856/andy-stott-luxury-problems.html
Edoardo Bridda.
Condensare un immaginario di lunga tradizione brit che va dai Cocteau Twins ai Dead Can Dance, via Massive Attack e Everything But The Girl e iniettarlo in un tappeto di scursissimi ritmi groove, techno e deep tenendosi saldo attorno ai 100bpm, può essere un'impresa facilissima o difficilissma. Easy il copia incolla, complicato creare un immaginario credibile e coerente agganciandolo a un percorso già di culto e fama.
Dopo gli acclamati eppì Passed Me By e We Stay Together, accolti benissimo un po' ovunque - dalla madrepatria, agli USA, al nostro Paese -, il mancuniano Andy Stott, artista chiave della Modern Love, è chiamato a un allontanmento dai sensi unici della Berlino di lungo corso, in una direzione fertilissima legata al soul singing (paralleli alla lontana con l'Untrue buraliano e confronto diretto con il James Blake omonimo).
Il singolo Numb, rilasciato lo scorso settembre, pareva infatti indicare un lavoro concentrato sulle voci e lo spazio, sempre all'interno di un frame che ben accoglie l'ormai caratteristica (e catacombale) cassa anthemica. E così è, salvo il colpo di coda di un producer che non lascia sguarnito nessun aspetto, nemmeno la già autoriale vena concreta, forgiando in tal modo un album assolutamente inattaccabile e per molti aspetti una vera rivelazione.
Luxury Problems, masterizzato nei leggendari Air Studios londinesi (e quindi con dei compressori sui bassi capaci di bucarvi il pavimento) da un Matt Colton già al lavoro con James Blake (appunto), è una gioia anche solo per i sette minuti di doom ambient di Expecting. Un brano che da solo potrebbe esaltare qualsiasi cultore dei catalogi più scuri dell'industrial britannica fino a Demdike Stare e naturalmente alla coda post-Witch della Tri Angle.
Questo è un disco, si diceva, di smalti e fascinazioni vocali bianchissime, tutte di Alison Skidmore, l'insegnante di piano di Stott che lui, romanzando, dice di non vedere da quando aveva sedici anni. Una fuori dalle scene e dal mondo delle produzioni musicali che nel mix apparecchiato dal producer diventa un'austera Sade o, meglio, una Laurel Halo di sostanza. Ascoltatela nella traccia omonima Luxury Problems (con tanti saluti a Nina Kravitz), nel picco assoluto che è Lost And Found o nell'unico brano vicino al pop che è Hatch The Plan: avvolgente, austera, gotica, disadorna, ma con i punti giusti perfettamente illuminati. Gli stessi che emergono nella enjana - o meglio badalamentiana - Leaving, finale lynchiano a sugellare il trionfo dell'Andy Stott produttore e autore, antitesi - lo possiamo dire forte - dell'angelico Blake. Con il pregio non indifferente di un disco che non mortificherà i cultori dei beat.
Curioso, a tal proposito, un brano come Up The Box, che accoglie un crescendo di drumming filo Fly Lo inframezzato da un zoppicante amen break proto jungle. E' l'unica licenza (leggi fuori programma) di un album compatto che con altri picchi - e questa volta citiamo la pura deepness di Sleepless (che si mangia vivo un altro producer, Actress) finisce dritto ai primi posti delle classifiche di fine anno.
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