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COP SHOOT COP - Ask Questions Later

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Messaggio Da Artinside Dom 27 Nov 2011 - 23:52

http://www.ondarock.it/recensioni/copshootcop_ask.htm

COP SHOOT COP - Ask Questions Later 31816611


COP SHOOT COP
Ask Questions Later
(Interscope / Atlantic) 1993
industrial
di Claudio Fabretti

Prologo

New York City, 1978. Un’orda di teppisti sonici tiene in scacco la Grande Mela. Si chiamano Lydia Lunch, Contortions, Arto Lindsay & Dna, Mars. Sono poco più che adolescenti, carichi di rabbia e terrore. Con il loro campionario di latrati, rumori, dissonanze e altre atrocità devastano i padiglioni auricolari degli spettatori che affollano l'Artists Space di Soho. Va in scena il “no future” a stelle e strisce. Punk sì, ma non certo rozzo e primitivo: perché quella furia iconoclasta si nutre anche del free-jazz di Albert Ayler, del minimalismo colto di Glenn Branca e Philip Glass, di quella febbre d’avanguardia che aveva già infervorato i baccanali dei Velvet Underground undici anni prima. Un bestiario di anime perse che passerà alla storia del rock sotto la voce “no wave” e sarà immortalato da Brian Eno nella raccolta “No New York”.

Il Day After

New York City, 1993. Dopo la breccia no wave, legioni di psicotici indie-rocker hanno messo a ferro e fuoco gli States. A scrivere la colonna sonora dell'alienazione nella metropoli post-industriale sono stati soprattutto i Sonic Youth, con i loro furibondi maelstrom noise-rock. Ma a suggellare il Day After newyorkese (e del genere umano) sarà un supergruppo, che riunirà quattro noti criminali del pentagramma: Jack Natz (ex Undead) al canto, Todd Ashley (ex Shithaus e Dig Dat Hole) al basso, Phil Puleo (ex Dig Dat Hole) alle percussioni e Jim Coleman ai campionamenti.

Lo scenario cambia: al posto delle metropoli alienata e violenta, ma comunque viva, c'è ora un ammasso di macerie e scorie radioattive. Una città-pattumiera, dominata dalle macchine, che hanno annientato l'umanità. E' l'epilogo preconizzato da una generazione di waver, che della paura del futuro tecnologico aveva fatto la propria religione. La new (e no) wave cede il testimone alla sua terminazione più temibile: la musica industrial, agghiacciante e sarcastica rappresentazione della rovina umana.

Formatisi sei anni prima, i Cop Shoot Cop hanno già destato scalpore per la loro peculiare line-up senza chitarra e per la violenza omicida dei loro testi. L'assalto nichilista di "Consumer Revolt" non ha fatto prigionieri. Il successivo "White Noise" ha cercato di virare su rotte più marcatamente noise-rock. Ora, resta solo da tradurre il marasma originario in suono compiuto. A portare a termine la missione provvederà "Ask Questions Later".

Anarchy in the Usa

Sotto l'influsso perverso delle correnti australiane, di profeti dell'apocalisse come Foetus e Nick Cave, il capolavoro dei Cop Shoot Cop giunge a sublimare una stagione di esperimenti noise/industrial in un sound più "musicale". Merito anche degli elaborati arrangiamenti, che includono una sezione di fiati guidata dal trombone di David Ouimet, e dei notevoli progressi in fase di produzione (che faranno però storcere il naso agli immancabili pasdaran del rock alternativo). Qualche novità anche in formazione: ai campionamenti subentra Jim "Cripple Jim" Filler, partecipano alle session anche April Chung (violino), Jim Colarusso (tromba) e Joe Ben Plummer (sassofono).

Il canovaccio, tuttavia, non cambia: restano le percussioni spastiche, le urla, il sarcasmo, in più, semmai, ci sono le canzoni e, tutto sommato, un senso della melodia più pronunciato rispetto a illustri compagni di (dis)avventura, dai Ministry ai Nine Inch Nails. Melodie deturpate, beninteso, come quella della magnifica "Room 429", storia di eroina e perdizione, propulsa da una ritmica implacabile. Melodie sempre più oscure, al punto da lambire le lande desolate del dark-punk britannico nella danse macabre di "Everybody Loves You", con i suoi bruschi scarti di chitarre su un testo sardonico ("Life is so much better when you're dead/ Conversation's easy when there's nothing to be said/ But it can get a little lonesome/ Maybe you should take along a friend"). E come da tradizione gothic (da Siouxsie ai Pil) non mancano le suggestioni mediorientali, evocate dal violino di "Cut To The Chase" su un maestoso tappeto di mellotron.

La retorica anarcoide di Ashley fa a pezzi ciò che resta della società americana in invettive blaterate a squarciagola, nel solco dello Jourgensen più mefistofelico, come l’iniziale “Surprise Surprise”, spinta allo spasimo dall’infuriare delle percussioni e da una pioggia devastante di campionamenti, o come il blues psicotico per trombe e fischietti di "$10 Bill", mentre tra i fiati e i clangori di "Got No Soul" s’intravede il ghigno beffardo del Nick Cave degli esordi.
L’angoscia cresce a dismisura nei labirinti metallici di “Cause And Effect”, nel gioco di specchi dei sampler di "Seattle", a cura di Filler, e nel pandemonio di “Nowhere”, dove un riff ostinato viene trafitto da continue scariche elettriche. Quasi senza fiato si arriva così al commiato di “All The Clocks Are Broken”: altra melodia malsana, poi il buco nero, la fine di tutto. La successiva ghost-track è solo un indistinto vociare dall’oltretomba.

Disco sconvolgente e maturo al contempo, "Ask Questions Later" diverrà un feticcio del rock underground per l’intera decade Novanta. Ma la sua ombra maligna si allungherà anche su tutta la musica industrial delle generazioni successive. E continuerà a turbare le notti a tutti quelli che l’hanno ascoltato. Perché è bene avvertire: dopo la prima volta, non ti molla più.
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Messaggio Da Antonello Alessi Lun 28 Nov 2011 - 5:57

Gran bel disco, l'ho ascoltato fino a consumare il vinile .Bella riesumazione..Bravo!!! Very Happy
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Messaggio Da Artinside Lun 28 Nov 2011 - 11:19

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