LINDSTRøM - Where You Go I Go Too
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LINDSTRøM - Where You Go I Go Too
http://www.ondarock.it/recensioni/2008_lindstrom.htm
LINDSTRøM - Where You Go I Go Too
(Smalltown Supersound) 2008
di Nicola Minucci
Hans-Peter Lindstrøm, in arte Lindstrøm (si risparmiano inchiostro ai giornalisti e sforzo mnemonico agli appassionati): tecnicamente “Where You Go I Go Too” è il suo primo album solista. Il nome però è già di quelli che pesano grazie ai due album (uno di remix) con il compagno di malefatte Prins Thomas, nonché a una splendida raccolta dei primi singoli (“It’s a Feedelity Affair”). Il suo merito è quello di aver portato al mondo un’appassionante rilettura degli stilemi della disco europea e italiana di fine anni 70, mescolandola a un personalissimo sentire techno e a una mostruosa capacità di costruire crescendo emozionali. Tutto questo, dice lui, grazie al fatto che non si è formato come appassionato di elettronica, ma come rockettaro che si avvicina all’universo techno più che altro per curiosità. Poi, magari, succede che quell’universo ti risucchia completamente, ma tu resti sempre con un background fondamentalmente diverso.
D’altra parte, che il nostro provenga da ambienti distanti dall’elettronica lo dice anche la significativa copertina: vi pare quella la faccia di un consumato bedroom producer, o di un dj di lungo corso?
Ma passiamo alla musica. L’album consta di tre lunghi brani, ognuno legato all’altro nel missaggio, ma di fatto indipendenti fra loro. Che sapesse gestire con maestria anche minutaggi imponenti, Lindstrøm ce lo aveva già dimostrato con pezzi come “There's A Drink In My Bedroom And I Need A Hot Lady” e “Nummer Fire En”, ma stavolta si sale di livello, e lo si fa sin da subito.
Al tempo dei vinili la title track avrebbe occupato un lato intero. Sei minuti in più di “Supper’s Ready”, tanto per fare un paragone. E’ il tempo di un’ascesa che parte su eco manifestamente göttschinghiane per poi arrivare a Moroder e a quel riff di synth che entra in scena all’ottavo minuto citando quello celeberrimo di “Supernature” di Cerrone.
Gli elementi italo-disco che hanno reso già celebre Lindstrøm si trovano anche nella sapiente velocità controllata dei sequencer e dei beat, nei suoni, nell’estatica dicotomia tra terra e cielo.
E poi ci sono le parentele con il lato più cinetico del mondo krauto: come tralasciare infatti quei brevissimi fraseggi di chitarra (magari è tutto sintetico, ma sembra una chitarra) così “E2-E4”?
Anche “Grand Ideas” non risparmia robotismi moroderiani, specie nell’accordo iniziale che prende qualcosa dal Moroder pop degli anni Ottanta. E’ il preludio del ritorno a casa, raccontato da “The Long Way Home”. I primi minuti fanno montare l’attesa prima che la tensione accumulata dal sequencer si sciolga in un morbido, ruffianissimo jingle con basso very disco, bizzarro punto d’arrivo che mette in luce una sapienza melodica squisitamente pop che pochi produttori (techno e non) possono vantare. Pare di vederlo, lui, nascosto da qualche parte a sorridere sornione mentre inevitabilmente battiamo il piedino deliziati. Le caramelle che arrivano quando più le volevi.
Il piccolo miracolo di Lindstrøm si è compiuto: si è proposto come erede diretto di certe “anticaglie” ancora di gran moda e ne è uscito con uno stile fortemente riconoscibile e che, rispetto al passato, mantiene evidenti le ispirazioni, ma si affranca dal fantasma di “I Feel Love”. E lo fa in un disco ambizioso, che punta in alto e ci arriva.
Un’ultima nota. Se siete appassionati del kraut declinazione Göttsching ma detestate la techno, anche quella più “sognante”, e non vi piace nemmeno “Where You Go I Go Too”, be’, lasciatevelo dire: siete davvero irrecuperabili.
LINDSTRøM - Where You Go I Go Too
(Smalltown Supersound) 2008
di Nicola Minucci
Hans-Peter Lindstrøm, in arte Lindstrøm (si risparmiano inchiostro ai giornalisti e sforzo mnemonico agli appassionati): tecnicamente “Where You Go I Go Too” è il suo primo album solista. Il nome però è già di quelli che pesano grazie ai due album (uno di remix) con il compagno di malefatte Prins Thomas, nonché a una splendida raccolta dei primi singoli (“It’s a Feedelity Affair”). Il suo merito è quello di aver portato al mondo un’appassionante rilettura degli stilemi della disco europea e italiana di fine anni 70, mescolandola a un personalissimo sentire techno e a una mostruosa capacità di costruire crescendo emozionali. Tutto questo, dice lui, grazie al fatto che non si è formato come appassionato di elettronica, ma come rockettaro che si avvicina all’universo techno più che altro per curiosità. Poi, magari, succede che quell’universo ti risucchia completamente, ma tu resti sempre con un background fondamentalmente diverso.
D’altra parte, che il nostro provenga da ambienti distanti dall’elettronica lo dice anche la significativa copertina: vi pare quella la faccia di un consumato bedroom producer, o di un dj di lungo corso?
Ma passiamo alla musica. L’album consta di tre lunghi brani, ognuno legato all’altro nel missaggio, ma di fatto indipendenti fra loro. Che sapesse gestire con maestria anche minutaggi imponenti, Lindstrøm ce lo aveva già dimostrato con pezzi come “There's A Drink In My Bedroom And I Need A Hot Lady” e “Nummer Fire En”, ma stavolta si sale di livello, e lo si fa sin da subito.
Al tempo dei vinili la title track avrebbe occupato un lato intero. Sei minuti in più di “Supper’s Ready”, tanto per fare un paragone. E’ il tempo di un’ascesa che parte su eco manifestamente göttschinghiane per poi arrivare a Moroder e a quel riff di synth che entra in scena all’ottavo minuto citando quello celeberrimo di “Supernature” di Cerrone.
Gli elementi italo-disco che hanno reso già celebre Lindstrøm si trovano anche nella sapiente velocità controllata dei sequencer e dei beat, nei suoni, nell’estatica dicotomia tra terra e cielo.
E poi ci sono le parentele con il lato più cinetico del mondo krauto: come tralasciare infatti quei brevissimi fraseggi di chitarra (magari è tutto sintetico, ma sembra una chitarra) così “E2-E4”?
Anche “Grand Ideas” non risparmia robotismi moroderiani, specie nell’accordo iniziale che prende qualcosa dal Moroder pop degli anni Ottanta. E’ il preludio del ritorno a casa, raccontato da “The Long Way Home”. I primi minuti fanno montare l’attesa prima che la tensione accumulata dal sequencer si sciolga in un morbido, ruffianissimo jingle con basso very disco, bizzarro punto d’arrivo che mette in luce una sapienza melodica squisitamente pop che pochi produttori (techno e non) possono vantare. Pare di vederlo, lui, nascosto da qualche parte a sorridere sornione mentre inevitabilmente battiamo il piedino deliziati. Le caramelle che arrivano quando più le volevi.
Il piccolo miracolo di Lindstrøm si è compiuto: si è proposto come erede diretto di certe “anticaglie” ancora di gran moda e ne è uscito con uno stile fortemente riconoscibile e che, rispetto al passato, mantiene evidenti le ispirazioni, ma si affranca dal fantasma di “I Feel Love”. E lo fa in un disco ambizioso, che punta in alto e ci arriva.
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Artinside- Membro classe argento
- Data d'iscrizione : 29.01.09
Numero di messaggi : 3182
Località : Sassari
Occupazione/Hobby : Arte Contemporanea
Impianto :- Spoiler:
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Pre: Minimalist autocostruito
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